All’incrocio tra via Antonio Rosmini e Paolo Sarpi, nel centro della chinatown milanese c’è un negozio Vodafone. Insegna colorata, tre vetrine, telefonini in ordine e in bella vista: «Buonasera, ho rotto il vetro del mio iPhone, potete cambiarlo?», chiede un cliente. Il commesso abbassa gli occhi: «Guardi, la riparazione se è fuori dalla garanzia costa 210 euro. Ci consegna l’apparecchio e glielo restituiamo tra dieci giorni. Se però accetta un consiglio, se entra in quella strada, ci sono i cinesi, in 24 ore sistemano tutto».
Il commesso aveva torto. I “cinesi” ti restituiscono il telefono in una sola ora e non in 24 e chiedono 50 euro (senza trattare).
A pochi passi da Paolo Sarpi, in via Rosmini nello spazio di una decina di metri ci sono tre negozi. Molti altri sono sparsi nelle vie accanto.
All’interno di questi store, un bazar di cellulari, computer, netbook, chiavette Usb, cornici digitali, cavi, cavetti, insomma un campionario di accessori accatastati come cassette della frutta al mercato. Dietro il bancone due cinesi tra schede grafiche e telefonini sventrati con grande cortesia forniscono ogni tipo di informazione: «Sostituire il vetro dell’iPhone, costa 50 euro. Il vetro è originale, la fabbrica è in Cina. Il touch screen invece è contraffatto ma funziona lo stesso. E costa altri 50 euro».
Nei cassetti hanno decine di digitalizer (cioè i pannelli Lcd) e di vetri per iPhone. Alla vista sembrano originali, ma a uno sguardo più attento la scritta “Apple” in piccolo piccolo rivela una precauzione sospetta.
I pezzi, gli accessori – racconta un giovane di origine cinese ma con accento lombardo – arrivano da Taiwan o direttamente dalla Cina. «Li produciamo noi», sorride. Chiaramente, questa attvità di “assistenza” non è riservata solo ai prodotti di Steve Jobs. In vetrine impolverate ci sono tutte marche dei produttori di telefonia. E per ogni pc, portatile o cellulare vengono offerti assistenza e pezzi di ricambio a basso costo.
Alla Apple, naturalmente, mettono in guardia: i vetri sono appiccicati con la colla, il multi-touch non funziona e i materiali non sono di qualità. Utilizzare le vie ufficiali però significa o recarsi direttamente a un Apple Store (solo se si vive a Milano o Roma) oppure chiamare un numero verde: un pony ritira il cellulare e con 210 euro non solo viene cambiato il vetro ma viene fornito un telefono nuovo (se necessario).
Su internet invece c’è tutto il necessario per risparmiare sulla manutenzione. Con un po’ di fortuna su eBay si può acquistare vetro, pellicola protettiva e cacciaviti per la somma di 20 euro. Con le giuste parole nella finestra di ricerca su Youtube, passo a passo, ci sono video che spiegano come operare. Il vero business per i negozi di accessori non è tanto l’assistenza quanto la vendita. La maggior parte dei modelli – spiegano in un negozio di via Rosmini – sono prodotti in Cina per il mercato asiatico. Una volta importati in Italia, si scaricano da internet i codici per tradurre il software in italiano e il telefono è pronto. Un cliente fuori dal negozio mi spiega che la conversione non è mai perfetta ma il telefono funziona.
In altri casi, invece, l’apparecchio ha solo la forma dei modelli delle grandi marche ma le tecnologie sono made in China. Il Cect E71, per esempio, è uno smartphone di produzione cinese. Identico nell’aspetto al Nokia E71, dentro è un miscuglio di tecnologie e fuori offre qualche funzione in più. Sul web molti utenti avvertono che si tratta di telefonini piuttosto fragili. Come per i computer il problema sono le architetture hardware, assemblare componenti non standard è rischioso e può accorciare la vita del prodotto. «Perché pagare un componente di marca quando puoi spendere meno?», taglia corto un commesso. «Senta – interrompe un cliente – quanto costa sostituire l’hard disk del mio Macbook?». Il commesso ci pensa un attimo: «Cento, 150 euro, se me lo porti domani mattina te lo restituisco in serata. È quello bianco no?».
Un indirizzo per il colpo sicuro?
Hua Xing Riparazioni – Via Paolo Sarpi 31 20154 Milano
Parco Sempione, Monumentale
Ma c’è anche Johnny in Paolo Sarpi:
Johnny è il titolare di un piccolo negozio di riparazione e vendita di apparecchiature elettroniche e informatiche, dai caricabatterie compatibili con qualsiasi telefono agli hard disk, con tutto quello che ci sta in mezzo.
Il locale non è grande, ha una sola vetrina, e l’insegna si confonde con quella dei molti negozi di abiti e merce varia di questa zona. Eppure è quasi sempre pieno, e spesso c’è gente che aspetta fuori. È difficile anche solo pensare di contare il numero di oggetti (monitor, chiavette, portatili, tastiere eccetera) stipati all’interno, nelle vetrinette, sugli scaffali, nei cassetti; molti hanno sopra un post-it con un nome e un numero di telefono. Dal piano di sopra si sentono rumoreggiare dei tecnici costantemente al lavoro. Entra una ragazza. Mostra un telefono con il più tipico dei problemi: il vetro in frantumi. Johnny prende i riferimenti, li scrive sul post-it e chiede di tornare dopo un’ora.
La ragazza è evidentemente una cliente abituale, perché un’ora non le basta: “Non si può fare in mezz’ora? Daiii”. Johnny pronuncia due parole in cinese ad alta voce, e da sopra gli rispondono qualcosa, forse una maledizione. “Va bene, dai, mezz’ora”, dice alla ragazza che esce soddisfatta. Molti clienti di Johnny vengono qui la prima volta proprio per questo motivo: vogliono riparare il vetro di uno smartphone in fretta e senza spendere un patrimonio. Con qualche decina di euro, qui si può fare.
“Ho aperto il negozio a sedici anni”, racconta. “Dieci anni fa non c’era tanta scelta per i cinesi: o ristorante o confezioni. Ho visto i miei genitori lavorare nelle confezioni. È una vita massacrante. Quando mio padre mi ha chiesto se volevo continuare a studiare o lavorare, ho deciso di fare qualcosa di diverso. Sono andato in Cina per sei mesi e ho seguito un corso di riparazione di apparecchiature elettroniche”. Questa capacità di buttarsi e anticipare più di una tendenza a venire è l’impostazione cinese tipica dell’impresa commerciale. “Un problema di tanti negozi di cinesi? Non sanno l’italiano. Tipo uno che fa il sarto vede che la telefonia tira: apre il negozio. Perché il cinese fa quello che va. Se non va, tra due anni chiude bottega e magari fa un’altra cosa”.
Da Johnny vanno tutti, e la notizia che ci sia qualcuno che ti segue e risolve qualsiasi tuo problema di hardware e software, Mac o pc si diffonde da anni in città. Perché ormai la gran parte della vendita di hardware passa per grandi catene o negozi online, dove manca la possibilità di ricevere un’assistenza puntuale. Dall’altra parte abbiamo le aziende, per cui l’hardware si accompagna sempre a un contratto di assistenza. In mezzo ci sono le persone normali che hanno bisogno di soluzioni semplici, chiare, economiche e tempestive. E da Johnny trovano tutto questo. A volte gratis. “Io faccio una consulenza gratuita”, racconta. “Magari qualcuno mi dice “Devo andare da Expert a comprare un computer. Cosa compro?”. E non mi interessa se non lo compra da me; io neanche li vendo. Dimmi a cosa ti serve il computer, e io ti dico cosa devi prendere. Potresti acquistare un computer a 299 € di adesso, e funziona più che bene. Tanto hai già 4 GB di ram, 500 GB di hd, processore dual core: è più che sufficiente. Se ne prendi uno da 799 € con una scheda grafica della madonna, può essere che quella scheda sia troppo spinta. C’è il rischio che si surriscaldi e si bruci tutto”.
Nel negozio di Johnny, in via Giordano Bruno 20, si parla tantissimo. La gente ha bisogno di cose che normalmente si chiedono all’amico smanettone. Ma, anche se il lettore medio di Wired può trovarlo incredibile, c’è chi non ha l’amico smanettone cui chiedere di rimettere a posto il desktop o cancellare le applicazioni scaricate che rallentano il sistema. Johnny fa tutto questo, e per cifre modiche. Ma la domanda di riparazione, in un periodo storico in cui in genere la strategia dei grandi marchi è quella di offrire per una cifra abbastanza alta un telefono nuovo di zecca, non interessa soltanto i privati. “Ci sono negozi che portano la roba a riparare da me”, dice Johnny. “Non faccio nomi. Sono negozi in centro, bravi, chic, e portano la roba a me. Io faccio un servizio veloce, faccio un buon prezzo, loro fanno il loro ricarico, e siamo tutti contenti”.
La moglie e il padre di Kai, per chiamarlo come lo chiamano i suoi nonni, sono coinvolti nella gestione del negozio quando non c’è lui. L’impresa, vista originariamente con un certo sospetto dalla famiglia, è cresciuta costantemente da quando ha aperto. La nascita e la diffusione degli smartphone ha più che sostituito il declino del mondo dei pc, che sono diventati talmente economici da risultare una vendita redditizia solo se i volumi di venduto sono enormi.
La clientela di Johnny è molto variegata, e c’è anche gente un po’ improbabile. A un certo punto entra un ragazzo che mostra uno smartphone. Johnny guarda il telefono per tre secondi, e il ragazzetto smilzo e leggermente nervoso se ne va scornato. “Quel telefono è rubato”, mi spiega poco dopo. “Io non ci faccio niente. Lo mando via. Certo, il blocco è solo nazionale, quindi basta portarlo fuori dall’Italia e funziona”.
L’unica via di fuga per Johnny è la passione della moto. “Ho una F3 MV Agusta”. È una motocicletta molto veloce e molto costosa. “La moto l’ho presa perché ognuno deve avere una passione”, spiega. “Perché il negozio è un po’ un porto di mare: ne entrano di buoni e di brutti. A volte c’è gente pesante e non è che puoi litigare o picchiarti. È sempre un cliente, e devi ignorarlo. Ma quando ignori poi ti cresce la rabbia. E la rabbia un po’ va sfogata. Perché a volte, sai, ci sono quelli che chiedono “Quant’è?”, tu dici “50 €”; loro ti tirano 45 € e se ne vanno. Questa è cafoneria. Quelli sono clienti che… non dico che preferirei perderli, ma hanno un modo di fare che non mi sta per niente bene”. La cautela con cui un negoziante di grande successo evita di mandare via anche il più maleducato dei clienti possibili dà la misura della cura che questo ragazzo mette in quello che fa, che poi è la ragione di questo successo trasversale. “Se uno lavora male, poi dicono di te “Lì non andare, quello lì mi ha fregato!”, e un commento così ne cancella otto positivi”.
La crisi si sente, ovviamente, proprio in un posto come questo. “Si vende poco; si ripara molto”, racconta Johnny. “La gente adesso preferisce spendere 100 € di riparazione che comprare un telefono nuovo a 150 €. Io magari lo sconsiglio, ma mi dicono: “Facciamolo lo stesso perché non ho quei 50 € in più”. Si vendono le novità come iPhone 5S o 5C, oppure il telefono low cost da 100 €. Il telefono da 200/300 € non si vende più”.
Per finire, senza nascondere un certo imbarazzo nel parlare dei “cinesi” come se fossero una novità esotica, quando a Milano i primi arrivarono nel secondo dopoguerra in via Canonica dove vendevano cravatte, chiedo a Johnny com’è il cliente cinese medio. “Se un cinese in Cina deve comprare un computer, va al Computer Centre: un grande magazzino di cinque o sei piani, enorme, dove ci sono centinaia di stand, come se fosse una fiera, e ognuno è un piccolo negozio di computer. La concorrenza è totale. I cinesi devono sempre diventare più ricchi. Sempre. Siamo perennemente in competizione. Qui i cinesi sono più imbranati perché sono in Italia, ma in Cina sono dei draghi”.
Esiste un ultimo aspetto in cui non è solo il modo di fare cinese a dare un vantaggio a Johnny e ai suoi clienti, ma il legame con il paese che produce l’elettronica di consumo per tutto il mondo. “Quando non si riesce proprio a capire cosa abbia un telefono, lo si manda alla Foxconn”. Alla Foxconn, il gigante dell’elettronica da 1.200.000 dipendenti? “Be’, no, non esattamente a loro”, specifica sorridendo. “Loro producono per tutti e non riparano. Ma i loro ex dipendenti hanno assemblato quei telefoni per mesi o anni, e li conoscono a memoria. Hanno dei piccoli centri di assistenza. Li guardano e in dieci secondi sanno qual è il problema. Conoscono tutte le caratteristiche dei modelli e delle partite. Riparano in un giorno e rispediscono indietro”.
Ma ce ne sono altri..
Sono i piccoli maghi dell’elettronica “made in China” che stanno conquistando il mercato della riparazione di cellulari e computer di Milano. Lavorano a Chinatown, nell’angolo o nel retro di negozi colmi di notebook, cavi, chiavette Usb, cellulari e cornici digitali. Ognuno degli oltre 15 store di elettronica sparsi tra via Sarpi, via Messina, via Rosmini e via Lomazzo dipende dall’abilità del suo giovane manovratore di microchip capace di fare miracoli con computer e cellulari di ogni tipo (anche destinati alla discarica). Potenza del know-how imparato in Cina – è lì che la maggior parte di questi giovani ha studiato prima di arrivare in Italia – e dell’uso dei pezzi di ricambio non sempre originali che abbassa drasticamente il prezzo della riparazione. Il risultato è che per cambiare il vetro di uno smartphome di ultima generazione bastano 35 euro, per un touch screen 90 o 100 euro. Nei centri di assistenza dei marchi, per le stesse operazioni se ne spendono 100 o 200. Con prezzi così competitivi, a ogni negozio c’è la fila. Come da Richi, multimedia in via Paolo Sarpi. «Io sono una cliente abituale – racconta Bruna Ademi. – Ho un Iphone 3GS e ogni volta che mi cade è un disastro. Per fortuna ho trovato questo posto che mi fa pagare poco, sistema il vetro del telefono in un’ora e dà anche la garanzia di un mese sulla riparazione. Ho provato a portarlo in un negozio autorizzato, ma costava molto di più». I cellulari non sono l’unico business della Chinatown tecnologica. Da Xinke, in via Rosmini 1/A, c’è Zheng, ragazzo di poche parole che quel che tocca aggiusta. «È il migliore della zona per i computer – assicura Mohur Krisnaduth, un cliente abituale. – Gli ho portato un notebook che in altri negozi mi avevano consigliato di buttar via. Lui l’ha riparato in un giorno per soli 25 euro». Il tavolo da lavoro di Zheng è un piccolo ripiano ingombro di fili, pinzette e microchip, nascosto dietro al bancone. Zheng è rapido nel diagnosticare i problemi dei clienti e velocissimo nel risolverli. E questo lo rende ancora più competitivo. «Noi siamo concorrenziali anche grazie ai tempi ridotti di attesa – spiega una commessa di Blustella in via Messina. – Raramente facciamo aspettare più di un giorno, lavoriamo con orario continuato e siamo rimasti aperti anche tutto agosto». Senza dimenticare che per ogni problema – o quasi – i cinesi trovano la soluzione. «Ho perso il caricabatterie di due vecchi cellulari – racconta Sergio Rosmini.- Pensavo di doverli buttare e invece qui ho trovato un caricabatterie universale a 5 euro. In alternativa avrebbero potuto cambiarmi l’attacco per 12 euro». «Non c’è problema» è una delle poche frasi che tutti i genietti dell’elettronica sanno dire in italiano, e ripetono con ogni nuovo cliente.
Se cerchi bene sui forum si legge anche:
Paolo Sarpi 31 è la crème de la crème delle riparazioni ma devi contrattare, altrimenti vai li accanto in via Messina dove fanno gli gnorri ma in mezz’ora è pronto.
Cercate bene quindi 🙂
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